AGRIGENTO
Agrigento (Girgenti in siciliano) e un comune italiano di 59.082 abitanti[1], capoluogo dell'omonima provincia in Sicilia.
La citta nella sua storia millenaria ha avuto ben quattro nomi: per i Greci, Agrigentum per i Romani, Kerkent per gli Arabi e Girgenti per i Normanni. Girgenti era anche il nome ufficiale della citta fino al 1929, anno in cui muto il suo nome nell'attuale. Cosi la descrive Goethe dopo averla visitata durante il suo viaggio in Italia:“Mai visto in tutta la mia vita uno splendore di primavera come stamattina al levar del sole...Dalla finestra vediamo il vasto e dolce pendio dell'antica citta tutto a giardini e vigneti, sotto il folto verde s'indovina appena qualche traccia dei grandi e popolosi quartieri della citta di un tempo. Soltanto all'estremita meridionale di questo pendio verdeggiante e fiorito s'alza il tempio della Concordia, a oriente i pochi resti del Tempio di Giunone; ma dall'alto l'occhio non scorge le rovine di altri templi ... corre invece a sud verso il mare.”
Il territorio agrigentino e stato abitato fin dalla preistoria, come dimostrano le testimonianze riferibili all'eta del Rame e del Bronzo, individuate nelle immediate vicinanze della citta attuale. La nascita della polis e legata allo sviluppo della polis Gela, infatti la citta fu fondata nel 581 a.C. da alcuni abitanti di Gela, originari delle isole di Rodi e di Creta, col nome di ??????? (Akragas), dall'omonimo fiume che bagna il territorio. La fondazione di questa polis nasce dalla necessita che avvertirono i Geloi (antichi gelesi), circa cinquant'anni dopo la fondazione della colonia megarese di Selinunte, di arginare l'espansione di questa verso est; scelsero per di collocare la citta tra i fiumi Himeras e Halykos, e le diedero il nome del fiume presso il quale sorse il centro urbano, al quale la collacazione tra i due fiumi e a circa 4 chilometri dal mare dava "tutti i vantaggi di una citta marittima" (Polibio). La fondazione di Akragas, isolata su una costa non cosi visitata da Greci come quella orientale, presuppone un alarga frequentazione di quell'area, abitata da Sicani, da parte di navigatori egei ed una favorevole disposizione dei potenti sicani verso i Greci. Lo sviluppo di Gela e di Akragas, colonie di Greci dotati di lunga esperienza marittima, e dipeso sopratutto dalla ricca produzione agricola, specialmente cerealicola, di un territorio le cui estese pianure favorivano anche l'allevamento dei cavalli; ed il nerbo dei loro eserciti era di fatti la cavalleria, specialita militare tipica delle aristocrazie grece. Ma la prossimita a grandi vie marine era per loro una esigenza vitale, come per tutte le colonie greche, a cui la navigazione assicurava la continuita dei contatti con la madrepatria e l'incremento degli scambi commerciali, ed equilibrava la sproporzione numerica dei coloni con le popolazioni autoctone tra le quali essi vivevano. La dominazione greca duro circa 370 anni, durante i quali Akragas acquisto grande potenza e splendore, tanto da essere soprannominata da Pindaro "la piu bella citta dei mortali", come testimonia la meravigliosa Valle dei Templi(sopra c'e il Tempio della Concordia, un tempio della Valle dei Templi). Inizialmente si instauro la tirannide di Falaride (570-554 a.C.) che fu caratterizzata da una politica di espansione verso l'interno, dalla fortificazione delle mura e dall'abbellimento della citta. Tuttavia Falaride fu meglio conosciuto per la sua crudelta e spietatezza e per l'uso del toro di bronzo come strumento di tortura per le vittime sacrificali. Il condannato veniva posto al suo interno e del fuoco riscaldava continuamente il toro finche egli non moriva ustionato. Durante l'agonia la vittima emetteva dei lamenti che, come dei muggiti, fuoriuscivano dalla bocca del toro. Il suo ideatore, Perillo, fu il primo a provarne gli effetti. Odiato dal popolo, Falaride mori lapidato e, poiche egli amava vestirsi di azzurro, vennero proibite le vesti di quel colore. Il massimo sviluppo si raggiunse con Terone (488-471 a.C.). Durante la sua tirannide la citta contava circa 300.000 abitanti e il suo territorio si espandeva fino alle coste settentrionali della Sicilia. Divenuta grande potenza militare, Akragas riusci a sconfiggere piu di una volta Cartagine nella guerra per il controllo del Canale di Sicilia. Dopo la morte di Terone inizio un regime democratico (471-406 a.C.) instaurato dal filosofo Empedocle, il quale rifiuto il potere offertogli dal popolo stesso. Nonostante questo, nel 406 a.C. i cartaginesi invasero la citta distruggendola quasi completamente e demolendo il tempio piu importante: quello di Zeus.
Nel 339 a.C., grazie al corinzio Timoleonte la citta, soggetta all'influenza di Siracusa, venne ricostruita e ripopolata. Nel 210 a.C., con la seconda guerra punica Akragas passo sotto il controllo dell'impero romano col nome latinizzato di Agrigentum.
Partendo dalla collina di Girgenti, e in particolare dalla chiesa di Santa Maria dei Greci, incorporato in alzato, in fondazione e nel taglio della roccia, si conserva un tempio dorico del 480-60 a.C., periptero (m 34,70x15,30) di 6x13 colonne, con cella munita di pronao ed opistodomo. Se e andata perduta, oltre alle absidi, la fronte orientale, e di quella occidentale sono stati visti negli scavi i soli tagli nella roccia per le fondazioni, sono visibili tuttavia le fondazioni della peristasi meridionale e settentrionale (con alcune colonne incorporate nei muri della chiesa) e della cella, mentre sotto la chiesa e visibile, per oltre venti metri, il krepidoma (basamento della colonna) del lato settentrionale. Nell'atrio della chiesa si conservano alcuni elementi dell'alzato, una parte di capitello e tratti del geison.
Sulla Rupe Atenea, punto piu alto della citta, si sono rinvenuti resti di un frantoio ellenistico, e sulle sue pendici sud-ovest e conservato uno dei numerosi templi delle divinita ctonie, incorporato nella chiesetta medievale di San Biagio. Il tempio, di medie dimensioni (m 30,20x13,30) era dorico in antis. Se ne conservano il basamento, col caratteristico vespaio costituito da un graticcio di blocchi, ed una parte cospicua delle strutture isodome dei lati e del fondo della cella, mentre l'abside della chiesa viene ad occupare la porta del tempio, conservando libera parte delle ante. Dallo scavo provengono resti del geison e della sima a protomi leonine (al Museo Nazionale). Sul lato a valle, la terrazza su cui e sistemato il santuario e delimitata da un muro di temenos, con un accesso attraverso due strade scavate nella roccia. Lungo il lato nord del tempio, all'altezza della cella, sono due altari circolari, di cui quello ad est presenta un anello di blocchi che borda il piano dei sacrifici tagliato nella roccia e arrossato dal fuoco delle offerte, mentre quello ovest, realizzato pure a grandi conci, reca al centro un foro ed una cavita per le offerte infere. Il ritrovamento all'interno dell'altare di kernoi (vasi rituali) e, nell'area, di statuette e busti fittili caratteristici del culto di Demetra e Kore, insieme alla tipica forma circolare degli altari, consentono d'attribuire il santuario alla coppia di divinita tanto popolari a Gela, e poi nella sua colonia, da far affermare a Pindaro che Agrigento era un vero e proprio Persephonas hedos (un "trono di Persefone").
Il santuario rupestre
Attraverso un sentiero ed una scaletta intagliata nella roccia (ambedue moderni) si valica a sud-ovest la linea delle mura e si raggiungono il cosiddetto "Santuario rupestre" di Demetra e la chiesa di S. Biagio. Il "santuario" e incentrato su due profonde cavita naturali, sistemate tuttavia artificialmente, che s'addentrano nella rupe recando un flusso d'acque all'esterno, e su di un profondo tunnel a nord delle cavita, evidente sostituto delle originali condutture, costituite dalle cavita. La fronte delle grotte e guarnita da un edificio rettangolare diviso in due vani nel senso della larghezza. L'edificio e realizzato con poderosi muri a blocchi e fortemente rastremato sulla fronte, ed era coronato da una semplice cornice e forse da una grotta a teste leonine. Questa struttura veniva a costituire una sorta di cisterna a due livelli, di cui quello inferiore riceveva il flusso d'acqua incanalato in tubature di cotto dalla grotta di destra, e quello superiore presentava due porte d'accesso alle cavita e tre finestre in facciata (una minore al centro e due maggiori ai lati). Ai piedi della cisterna si trovano delle vasche intercomunicanti a vari livelli, mentre tutta l'area e delimitata da mura formanti un peribolo trapezoidale (aggiunto successivamente), la cui fronte reca aperture a pilastri per dar luce al peribolo stesso, e all'estremita nord-est due vasche costruite a blocchi. La struttura della cisterna, col peribolo aggiunto, risponde perfettamente alla tipologia delle fontane arcaiche e classiche, ben nota in tutto il mondo greco. Il ritrovamento di busti fittili e di ceramiche del VI e V secolo a.C. ha fatto lungamente discutere sulla natura cultuale del complesso, dimenticando che fino ad epoca ellenistica avanzata non e possibile nel mondo greco dissociare funzioni sacrali e attivita utilitarie in apprestamenti idraulici del genere, soprattutto se nati in eta arcaica e classica. L'uso della fonte e iniziato infatti gia in eta protostorica, come mostrano ceramiche indigene anteriori alla fondazione d'Agrigento: anche questo ha fatto parlare di sincretismo religioso, laddove siamo in presenza di una pura e semplice continuita d'uso (anche ovviamente gl'indigeni frequentatori della fonte avranno attribuito a loro volta caratteri sacrali al luogo) tra fase pre-greca e fase coloniale. La cronologia del complesso monumentale e assai controversa, giacche la datazione pre-greca del Marconi non ha alcun fondamento, mentre ricerche recenti (de Waele) tendono a buon diritto a collocare la struttura della fontana e il tunnel all'iniziale V secolo a.C., collegandoli all'intensa attivita idraulica progettata da Feace, con restauri ed aggiunte che si prolungano nel tempo almeno fino all'eta ellenistica.
Ritornati sui propri passi si puo visitare, sotto la punta sud-orientale della Rupe Atenea, la Porta I, che si apriva, alle pendici della Rupe, su una strada tracciata nel vallone e diretta verso est. La porta, conservata per sei assise nel battente di destra, si apre al centro di un poderoso baluardo a tenaglia, uno dei rari esempi di particolari aggiustamenti difensivi dell'intera cinta, in un punto di relativa debolezza del tracciato. Una prima torre difendeva il battente di sinistra della porta ed una seconda l'angolo sud-ovest del bastione.
Ritornati sulla SS 118 ci si puo avvicinare alla Porta II, profondamente incassata nella roccia, e, sulle pareti del taglio roccioso, ad un piccolo santuario rupestre con incassi per pinakes (alcuni semplicemente stuccati e percio in origine soltanto, e non riportati), ai piedi dei quali erano piccole fosse con oggetti votivi databili da eta classica ad eta romana.
Al limite sud-est della Collina dei Templi, sul margine del suggestivo rialzo si collocano in successione i famosissimi templi di Giunone Lacinia, della Concordia, di Castore e Polluce, di Ercole, di Zeus Olimpio e di Vulcano; essi sono il vero e proprio simbolo di Agrigento nel mondo. |